COSTRUIRE UNA TORCIA A LED

Nell’articolo Guida costruzione piccolo impianto fotovoltaico abbiamo visto come fare un piccolo impianto fotovoltaico, ora vediamo come costruire una torcia/lampada a led con un esempio molto semplice, una volta capito il procedimento vi permetterà di creare lampade/torce di qualsiasi dimensione.

RESISTENZE
LED
PORTABATTERIE
ALTRO MATERIALE
SERIE O PARALLELO
CALCOLO RESITENZA
INIZIAMO I COLLEGAMENTI
ESEMPI

Vediamo i materiali necessari per costruire la nostra torcia/lampada a led:

RESISTENZE
resistenze resistore

Per creare una torcia/lampada avremo bisogno di alcune resistenze (poi vedremo come trovare la resistenza che ci serve) facilmente reperibili da un elettricista che, visto il costo molto basso, probabilmente ve ne regalerà qualcuna oppure in qualche fiera di elettronica ad ottimi prezzi.

LED
led

Si possono trovare moltissimi tipi di led, un sito veramente molto fornito e di buona qualità è www.led1.de, qui potrete comprare i led che preferite.

PORTABATTERIE

portabatterieporta batterie

Come per le resistenze i portabatterie si trovano facilmente da elettricisti o in fiere di elettronica

ALTRO MATERIALE

millefori

Per finire serviranno dei cavetti elettrici, batterie, stagno e saldatore per collegare i nostri led. Consiglio anche una millefori che ci permette di creare un lavoro più “pulito”. Tutto questo è reperibile sempre da elettricisti e fiere di elettronica.

SERIE O PARALLELO

Per il nostro esempio usiamo 3 led da 3,2V e 20mA (0,02 Ampere).

Colleghiamo i nostri led in serie o parallelo?

Se collegati in serie (+ con -) i led consumeranno sempre 0,02Ampere ma avranno una tensione di 9,6Volt (3 led x 3,2V a led=9,6 V).

Se collegati in parallelo (+ con + e – con -) i led avranno sempre la tensione a 3,2V ma consumeranno 0,06 Ampere (3 led x 0,02a a led=0,06A)

Per questo esempio li collegheremo in parallelo aumentando gli ampere visto che come alimentazione useremo delle batterie AA stilo.
Se decitete di collegarli in serie i calcoli saranno sempre gli stessi, accertatevi solo che le batterie con cui gli alimenterete abbiano un valore in Volt uguale o maggiore dei led (se per esempio collegate una batteria da 9V a 10 led da 3V collegati in serie non funzionerà, perché avrete bisogno di almeno 30V, ovviamente potrete sempre collegare anche le batterie in serie per ovviare questo problema).

Proseguiamo con il nostro esempio, avendo deciso di collegarli in parallelo (aumentando gli ampere) i 3 led hanno bisogno di 3,2volt per funzionare. Visto che in questo esempio usiamo normali pile stilo AA da 1,2 volt siamo obbligati a collegarle in serie per arrivare ai 3,2V, quindi prendiamo una portabatterie (o colleghiamo in serie con dei cavetti) e mettiamo almeno 3 batterie (3 batterie x 1,2 V a batteria = 3,6V abbastanza per alimentare i nostri Led).
In questo esempio però uso un portabatterie per 4 pile, ma alla fine i calcoli saranno i soliti.

CALCOLO RESISTENZA

Con le nostre 4 batterie collegate in serie avremo 1,2Vx4=4,8Volt erogati ai nostri led..abbastanza da farli bruciare, per questo ci servirà una resistenza.

Le resistenze hanno 2 valori Watt e Ohm.

OHM= per trovare da quanti ohm ci serve la formula è:

(Vs – Vd) / I = Ohm dove Vs è la corrente di cui disponiamo (nel nostro esempio 4 batterie in serie da 1,2V=4,8V), Vd è la corrente che ci serve (nel nostro esempio 3 led da 3,2V in parallelo=3,2V) e I sono gli ampere che consumeremo (nel nostro esempio i led consumano 0,06 A) la formula sarà così:

(4,8V – 3,2V) / 0,06 = 26,6 Ohm quindi dovremo trovare una resistenza con valore più vicino a quel valore.

WATT= ci sono resistenze da 1/8 W (0,125W) da ¼, ½, 1W, per capire quale ci servirà la formula è:

(Vs – Vd) x I = W

Nel nostro esempio i led da 3,2V e 0,06A e come alimentazione 4 batterie stilo 4,8V ecco la formula:

(4,8V – 3,2V) x 0,06A = 0,096 Watt in questo caso si potrà utilizzare una resistenza da 1/8 di Watt (va bene anche una resistenza da 1/4 di Watt o più, l’importante è non usare mai una resistanza con un “Wattaggio” inferiore).

Quindi per il nostro esempio abbiamo bisogno di 1 resistenza da 26,6ohm e 1/8 Watt, dato che le resistenze non si trovano di tutti i valori quella che si avvicina di più per il nostro esempio è questa:
resistenza

è da 27ohm 1/2Watt (c’é anche da 1/8 Watt solo che non ne avevo, così ho preso questa da 1/2 Watt)

Come per le batterie e i led anche le resistenze possono collegarsi in serie o parallelo. Se collegate in serie aumenterà il vaore ohm (OHM = R1 + R2 + R3 ………ecc.), mentre se collegate in parallelo aumenteranno i Watt ma si dimezzeranno gli ohm (nel caso volete collegare delle resistenze in parallelo usate la formula Ohm = (R1 x R2) : (R1 + R2) ).

INIZIAMO I COLLEGAMENTI

Ora colleghiamo l’uscita “+” delle batterie con il “+” dei led (l’anodo del led, o “+”, lo si riconosce dal terminale più lungo, mentre il catodo “-” è quello più corto) e colleghiamo il “-” delle batterie ad una estremità della resistenza e l’altra estremità della resistenza la colleghiamo al “-” dei led:
lampada led

In questo esempio ho usato cavi “volanti” non saldati per farvi capire meglio i collegamenti da fare.

Il cavo bianco è collegato al “-” dei led poi alla resistenza e infine al “-” delle batterie
Il cavo verde è collegato al “+” della batterie e al “+” dei led.

torcia ledlampada ledtorcia led

Potrete anche collegare un piccolo interruttore molto facilmente, nello stesso modo che avete collegato la resistenza. Tra il “+” delle batterie e il “+” dei led mettete l’interruttore.

interruttorelampada led

Se mettete la resistenza sul cavo “+” e l’interruttore sul “-” non cambierà niente. Potrete anche tenere sulla stessa linea sia l’interruttore che la resistenza:

torcia led

Il principio è questo, ora potrete sbizzarrirvi con tutte le vostre idee, facendo solo attenzione alle formule cambiando i nostri valori di esempio con quello che vorrete andare a fare.

ESEMPI

Ecco un pochino di cose che ho fatto, solo per darvi un’idea, ma vi prego non fate caso alla mia scarsissima abilità artistica!

lampade torce ledlampade torce ledlampade torce ledlampade torce ledlampade torce ledlampade torce led

Fonte: http://www.planetinfo.info/energie-alternative/233-costruire-una-torcia-a-led.html

 

GUIDA COSTRUZIONE PICCOLO IMPIANTO FOTOVOLTAICO

Di seguito vi descriverò come costruirsi un piccolo impianto solare per accendere una/due lampada/e per qualche ora.

 

Forse potrebbe interessarvi anche l’articolo Costruire una Torcia a Led

 

Vi potrebbe essere utile per una cantina, una baracca o qualsiasi altro locale di cui non necessita una luce accesa per molte ore, inoltre, se non arriva corrente al locale possiamo evitare di fare allacciamenti alla corrente elettrica, tirare fili o altro.

 

I componenti principali di cui abbiamo bisogno sono 4 e di facile reperibilità.

 

1 – Un regolatore di carica da 12/24V (quello nella foto è da 12A, significa che può supportare una corrente in entrata dai pannelli solari al massimo di 12A, per il nostro impianto + che sufficiente, andrebbe bene anche uno da 5A)

regolatore di carica

2 – Delle batterie, per il nostro esempio prendiamo una batteria da 12V 7A

batterie 12v

3 – Ovviamente dei pannelli solari, per il nostro esempio una pannellino da 5W è sufficiente

pannelli solari 5w

4 – Un inverter, quello nella foto è da 500W ma per il nostro esempio può andar benissimo anche uno meno potente

inverter 500w

Totale spesa (indicativamente)

Pannello 5W 35€

Regolatore di carica 35€

Batteria 7A 15€

Inverter 35€

Totale 120€

A questo totale dovremo aggiungere le spese per un po’ di filo elettrico (se già non l’abbiamo in casa), un paio di lampade a basso consumo (tipo da 10W) da 220v con il loro portalampade per collegarle all’inverter oppure se preferiamo possiamo utilizzare direttamente le lampade a 12v e collegarle direttamente alle batterie/regolatore di carica senza bisogno dell’inverter.

Se non sapete dove reperire questo materiale potete provare a guardare su www.ilportaledelsole.it oppure su www.fieradellelettronica.it e vedere sul calendario, presente sul sito, quando è la fiera più vicina a voi.

Ora passiamo alla realizzazione del nostro impianto, ecco un piccolo schema semplice semplice di come potrebbe essere il nostro impianto

schema

La realizzazione del progetto è molto facile ma ve la spiegherò passo passo.

Prendiamo i nostri pannelli e mettiamoli rivolti verso sud (se possibile) o dove riescono a prendere più ore possibile di luce durante l’arco della giornata. I pannelli sopportano tranquillamente qualche intemperie, comunque chiedete sempre dove li comprate se possono stare all’aperto. Se è possibile metteteli ugualmente sotto un tetto di certo non gli farà male.

Una volta fissati prendiamo i due fili che escono dal pannello, positivo (+) e negativo (-), non dovrete far altro che collegarli all’entrata del regolatore di carica (quella con il disegno dei pannelli solari).

Prendete la batteria e fate lo stesso, praticamente collegati i due fili alle due entrate del regolatore di carica dove c’è disegnata la batteria.

Ora le batterie si caricheranno e una volta cariche il regolatore staccherà la corrente in automatico per evitare di danneggiare le batterie.

Adesso potete prendere l’inverter ma lo dovrete collegare direttamente alla batteria perché non c’è bisogno di collegarlo al regolatore, infatti anche l’inverter stacca l’erogazione di elettricità in caso di scarsa corrente per evitare il danneggiamento della batteria, proprio come il regolatore di carica.

All’inverter potremo attaccare qualsiasi cosa, infatti porta la corrente da 12v delle batterie a 220v (come quella di casa), dobbiamo solo far attenzione alla potenza massima che l’inverter potrà erogare. Per esempio un inverter da 300 watt potrà accendere un bel po’ di lampadine da 20W ma non un phon…visto che generalmente sono intorno a una potenza di 1500-2000W.

Inoltre tenete conto che una batteria da 12v 7a è poco potente e quindi se attaccate un inverter da 2000w con un phon attaccato non durerà a lungo la corrente…comunque una pagina con un po’ di formule la metterò al più presto, controllate il menù in alto a sinistra.

Ora il lavoro è fatto ma se vogliamo possiamo evitare l’acquisto dell’inverter e attaccare delle luci a 12v al regolatore di carica nello spazio rimasto, quello con disegnato le luci. Mi raccomando però di collegare luci da 12v altrimenti non funzioneranno.

Un gentilissimo lettore (M.B.) che ringrazio nuovamente mi ha ricordato che sono in commercio ottime lampade a 12v da soli 3W molto luminose e abbastanza economiche, intorno ai 9€, inoltre consumando così poco possono essere utilizzate tranquillamente in alternativa alle classiche luci a basso consumo che solitamente sono di circa 15/20 W, se facciamo un piccolo conto 15w diviso 3w ci accorgiamo che quello consumato da una singola lampada a basso consumo equivale a 5 lampade a led. Se vi interessano qui potete trovarle http://stores.ebay.it/innovatech99/FARETTI-LED-/_i.html?_fsub=2318228017&_sid=1000088957&_trksid=p4634.c0.m322 o se volete potete costruirle voi comprando i led da qui: http://www.led1.de/shop/index.php?cName=samsung-led-c-227&xploidID=440895ae4a14333407372f6aad04cf51

Nessuno comunque vi obbliga ad usare solo l’inverter o le lampade a 12v collegate al regolatore. Potete collegare tutto senza problemi…batterie permettendo.

Potete aumentare la capacità delle batterie semplicemente collegandole in parallelo (+ con il + e – con il -) in tal modo aumenterete gli ampere (per es. se collego in parallelo 2 batterie da 7A avrò 7×2=14A) in pratica la quantità di corrente, ma tenete conto che più ampere vuol dire anche avere bisogno di maggiore potenza dei pannelli (anche per queste cose su come calcolare quali pannelli per quali batterie metterò una pagina, voi controllate il menù in alto a sinistra).

Lo stesso, come le batterie, lo potete fare con i pannelli, infatti se li collegate in parallelo aumenteranno gli ampere prodotti. Diversamente se li collegherete in serie (+ con – e – con il +) aumenteranno i volt

Esempio se avete 2 pannelli da 0,5 ampere e li collegate insieme avrete 1A prodotto.

Bene il grosso è fatto.

Se avete dubbi o consigli mandatemi pure una e-mail.

QUALE PANNELLO SOLARE

attenzione, questa sezione è solo per darvi un’idea, considerate che con il passare del tempo queste tecnologie subiranno grandi variazioni.

 

I pannelli solari possono essere:

 

– in silicio monocristallino

– in silicio policristallino

– o thin film chiamato anche amorfo

 

Vediamo i pregi e difetti di questi tre tipi di pannelli

 

SILICIO MONOCRISTALLINO

Pannello Monocristallino significa che ogni cella è formata da un singolo cristallo di silicio.

PRO

– E’ il pannello che presenta il miglior rendimento per mq

– Occupa meno spazio rispetto agli altri tipi di pannelli, ideale per chi ha uno spazio di posa limitato

CONTRO

– Prezzo elevato

 

 

SILICIO POLICRISTALLINO

Pannello Policristallino (chiamato anche multicristallino) significa che ogni cella è formata da un insieme di più cristalli di silicio, vengono realizzati partendo dal silicio riciclato. Questa minor purezza è la causa di un rendimento inferiore. Per farvi un esempio per avere la stessa potenza rispetto al monocristallino devono occupare il 10% circa di spazio in più.

 

PRO

– Costano meno rispetto al monocristallino

CONTRO

– Occupano più spazio

 

THIN FILM O AMORFO

In questo caso si parla di modul, sono formati da uno strato sottilissimo di silicio cristallino applicato su una lastra di vetro.

 

PRO

– Sono flessibili

– A temperature molto alte rendono meglio rispetto ai modelli precedenti

– In condizioni di basso irraggiamento (tipo nebbia o nuvoloso) rendono meglio rispetto ai modelli precedenti

 

CONTRO

– Prezzo elevato, costano circa come il monocristallino

– Rendono la metà del monocristallino eccetto nelle condizioni che ho riportato nei pregi

Ora sta a voi scegliere quale pannello solare è adatto alle vostre esigenze.

Per finire vi riporto alcune formule che potrebbero tornarvi utili

 

FORMULE UTILI

Calcolare la potenza in Watt di una batteria:

V x A = W

Per esempio se abbiamo una batteria da 12V 7A i W saranno 12×7=84W, questo vuol dire che la batteria potrà erogare 84W per un’ora poi sarà scarica.

 

Calcolare quanti Ampere eroga il nostro pannello:

V / W = A

Per esempio se abbiamo un pannello da 12V 5W gli ampere saranno 5W / 12V = 0,416A

 


Calcolare quanto tempo impiega un pannello per caricare una batteria:

Ipotizziamo di avere la nostra batteria da 12V 7A, cioè 84W e un pannello da 5W. La formula sarà la seguente

Wbatteria / Wpannello=Ore di carica necessarie

84W / 5W = 16,8 ore

ovviamente le ore sono intese mentre il pannello è al massimo carico, questo vuol dire che se c’è nuvolo le ore necessarie per la carica saranno notevolmente maggiori.

Possiamo anche fare questo calcolo con gli ampere. Prendiamo i due esempi precedenti, abbiamo un pannello che eroga 0,416Ah (Ah significa ampere ora) e una batteria da 7A quindi usiamo questa formula:

Abatteria / Apannello = ore di carica necessaria

7A / 0,416A = 16,8 ore

 

Calcolare quanto tempo può una batteria tenere accesa una lampadina:

Wbatteria / Wlampadina = ore di accensione

Prendiamo sempre la nostra batteria di esempio da 84W e una lampadina a basso consumo da 20W come esempio, ecco la formula:

84W / 20W = 4,2 ore di accensione e poi la nostra batteria sarà scarica

 

Calcolare quale resistenza mettere:

V / A = Ohm (resistenza)

Ma la cosa migliore in caso di tensioni basse (tipo se state facendo delle lampade a led) è questa:

(Vs – Vd) / I = Ohm dove Vs è la corrente di cui disponiamo (per esempio una batteria da 9V), Vd è la corrente che consumeremo (per esempio un led che di solito consuma di 3V) e I sono gli ampere che consumeremo (per esempio ammettiamo che il nostro led consuma 0,02 A) la formula sarà così:

(9V – 3V) / 0,02 = 300 Ohm quindi dovremo trovare una resistenza con valore più vicino al 300.

 

Calcolare la potenza della resistenza:

Le resistenze oltre al valore in Ohm, sono caratterizzate anche dalla potenza in watt, si trovano resistenze da 1/8 di W (0,125W) da ¼, ½, 1W, quindi come calcolare di quale resistenza avremo bisogno? Ecco come faremo:

(Vs – Vd) x I = W

Ipotizziamo di avere un led da 3V e 0,02A e come alimentazione una batteria da 9V ecco la formula:

(9V – 3V) x 0,02A = 0,12 W in questo caso si potrà utilizzare una resistenza da 1/8 di Watt

Fonte: http://www.planetinfo.info/energie-alternative/3-guida-costruzione-piccolo-impianto-fotovoltaico.html

L’acqua dall’aria. Stagni di rugiada.

Potrebbe essere un bell’esperimento. Sono gli stagni di rugiada. Servono per lo più in zone più aride della nostra. Ma si potrebbe provare, magari in piccolo. Giusto per vedere se funzionano e per raccogliere un pò di acqua in più rispetto a quella piovana.

Inizio riprendendo un articolo apparso sulla rivista Popular Science del settembre 1922. Il link al numero della rivista è il seguente: http://www.popsci.com/archive-viewer?id=6CgDAAAAMBAJ&pg=57&query=1922%20september. A pagina 55 si trova il breve trafiletto che parla del “pozzo di rugiada” di Russell. Brevemente traduco l’articolo anche se la figura nella rivista spiega da sola molto di più.

“Sulla base del principio di portare aria carica di umidità a contatto con le superfici a terra più fredde rinchiuse da argini, è stato recentemente inventato da S.B. Russel di Gosmore (Hitchin, Inghilterra) uno “stagno di rugiada” per la formazione di condensa e lo stoccaggio di umidità atmosferica. […].Un serbatoio di circa 10 mt. quadrati raccoglierà circa 90.800 litri d’acqua all’anno, con una media di 450 litri al giorno durante i caldi mesi estivi e 180 litri al giorno per il resto dell’anno… Lo stagno di Russel è costituito da una cisterna in cemento di circa 1,5 mt di profondità, con un tetto in cemento in pendenza, sopra il quale è un recinto protettivo di lamiera ondulata che aiuta a raccogliere e condensare il vapore sul tetto e previene l’evaporazione dal vento. Il pavimento della cisterna è a filo con il terreno, mentre tutto intorno ai lati vengono posti cumuli di terra in pendenza che arrivano fino al tetto della cisterna. L’umidità sgocciola nel serbatoio dalla parte bassa del tetto mantenendo il tetto a una temperatura inferiore a quella atmosferica, assicurando così la condensazione continua. A un lato del serbatoio, sotto terra, è costruito un pozzo in cemento. Per mezzo di un galleggiante, questo pozzo è mantenuto automaticamente pieno di acqua prelevata dal serbatoio.”

Russell non è il primo a pensare di utilizzare l’acqua di condensa sia per l’agricoltura che per i bisogni umani. Fin dall’antichità si sono utilizzate queste forme di stoccaggio dell’acqua. Se si spulcia in rete si trovano notizie dei pozzi ad aria di Teodosia (500 a.C.) o degli antichi stagni di rugiada del Sussex Downs delle colline di Mariborough e del Wiltshire. Più recenti sono le invenzioni di pozzi ad aria di Achille Knapen (1930), Leon Chaptal (1929) e Calice Courneya (1982).

Per ora lasciamo ad altri le cisterne di cemento o le montagne di sassi di calcare. Noi dovremo iniziare i nostri primi esperimenti cercando di capire come portare l’aria al punto di rugiada. L’aria contiene vapore acqueo. Un aumento di temperatura può far contenere all’aria un quantitativo maggiore di vapore acqueo. Mentre un abbassamento di temperatura ne riduce la quantità, fino a raggiungere il punto di rugiada, condizione in cui il vapore acqueo si separa in forma d’acqua.

Per ottenere le condizioni su scritte occorre che ci siano questi scambi di temperature in modo che l’aria calda si raffreddi e ceda il vapore acqueo in forma di acqua. Gli stagni di rugiada funzionano proprio in questo modo: c’è un fondo impermeabile e isolato dal terreno. E’ impermeabile in modo da raccogliere l’acqua che si forma e che non fa in tempo a evaporare. E’ isolato perché la sua temperatura differisce               da quella del terreno che durante il giorno accumula più calore. Durante la notte il terreno irraggia calore. L’aria calda si raffredda a contatto con il fondo dello stagno fino a giungere al punto di rugiada.

Per iniziare perciò potremmo fare un bello strato di paglia, abbastanza esteso. Metterci sopra un telo di nylon* che faccia una conca centrale e… aspettare l’acqua.

* Nell’antichità usavano l’argilla come fondo dello stagno e in effetti potremmo seguire il loro buon esempio…

Stufe in muratura.

Grande successo ha avuto il corso fatto presso la nostra abitazione per la costruzione di stufe ad accumulo in muratura fatte da Axel. www.stufe-darte.it.

http://bionieri.ning.com/profiles/blog/show?id=2358980%3ABlogPost%3A117022&commentId=2358980%3AComment%3A116958

 

Sono state costruite due stufe: una stufa di tipo tradizionale con forno a volta ed una stufa cucina.

I materiali usati sono mattoni in terra cruda, cemento fuso, cocciopesto ed altri materiali naturali …

allego alcune foto per dare un’idea…

Riscaldare casa a 20 euro l’anno? Dal 2013 con E-cat forse lo si potrà fare

Se tutto va bene, dovreste presto essere in grado di aggiungere al vostro riscaldamento centralizzato esistente un dispositivo rivoluzionario da 400 a 500 dollari / euro con cui potrete riscaldare la vostra casa con una sola cartuccia riciclabile a base di polvere di nichel, per meno di 20 dollari / euro all’anno.

Continue reading

Aquaponic System

Si tratta di un’applicazione pratica nata una ventina d’anni fa, un ibrido che coniuga l’acquacoltura, ovvero l’allevamento ittico, e l’idroponica, ovvero la coltivazione di piante in acqua.

L’acquaponica rende inutili il filtro per l’acqua e il fertilizzante per la piante, trasformando l’impianto in un mini-ecosistema autosufficiente in cui i rifiuti vengono riciclati dalle radici, che filtrano così al contempo l’acqua.

Continue reading

Stufe in muratura (kachelofen)

La stufa in muratura refrattaria e terra cruda risale al 1500, anche se ovviamente nelle epoche successive furono apportati miglioramenti sia tecnici che estetici. Il suo impiego si estese fino al periodo industriale, epoca in cui la stufa in muratura venne gradualmente sostituita da altre forme di riscaldamento ritenute più moderne. Negli ultimi anni ´70 queste stufe erano state del tutto abbandonate e si contavano sulle dita gli artigiani fumisti in grado di costruirle.

Solo negli ultimi anni, si è registrato un vero e proprio “rinascimento” per questo tipo di stufe, una rivalutazione dovuta sia alla crisi petrolifera, sia alla crescita della coscienza ecologica. La caratteristica più evidente di queste stufe è infatti il basso consumo di legna (generalmente non superiore ai 15 kG/giorno), associata alla piacevole sensazione di essere circondati da un calore sano ad un tasso di umidità equilibrato (intorno al 50%).
Inoltre il legante utilizzato, la cosiddetta “terra cruda”, è un impasto del tutto naturale, a base di argilla con aggiunta di sabbia e limo: il tipo di legame assicurato dall’argilla é esclusivamente meccanico e non chimico, come nel caso della calce o del cemento.

 

Materiali di costruzione, riscaldamento e vantaggi ecologici.
La stufa viene costruita con mattoni refrattari appoggiati su una malta di sabbia ed argilla. In genere, in questo tipo di stufe, la camera di combustione é realizzata senza griglia, in quanto il fuoco va acceso direttamente su un piano ricoperto di speciali lastre refrattarie, resistenti al calore.
Sempre con mattoni refrattari sono costruiti i condotti per i fumi, realizzati in maniera tale da convogliare i fumi ad elevata temperatura nei cosiddetti “giri di

fumo”. Si tratta di percorsi a saliscendi che hanno la funzione di aumentare la cessione di calore da parte dei fumi alla stufa. Se realizzata in maniera corretta la “canalizzazione” del fumo può scaldare efficacemente i locali retrostanti la stufa e quelli situati nel piano superiore. Tutto questo mantenendo un unico fuoco!

 

Per questo motivo, nella fase di progettazione è importante porre particolare attenzione alla canna fumaria, la cui struttura deve garantire un abbattimento di pressione inferiore a 12 Pascal (circa 0,12 mbar); ciò per avere una combustione priva di sostanze tossiche e capace di raggiungere temperature nel ordine dei 1000 – 1100 °C.
A questo punto i fumi così surriscaldati circolano nel condotto murato e perdono calore sino a raggiungere in uscita la temperatura di circa 150 °C. Il calore perso lungo il tragitto viene accumulato nella muratura e restituito all’ambiente da riscaldare, sotto forma di irraggiamento, in maniera lenta e graduale, così da avere nelle pareti esterne della stufa, temperature massime attorno ai 70 °C che possono aumentare sino ai 100 – 110 °C nella zona immediatamente attorno al focolare. Tutto questo, senza nessun rischio di ustione per chi viene a contatto con le pareti della stufa, proprio grazie alle particolari caratteristiche dei materiali utilizzati; infatti a contatto con la pelle le superfici si raffreddano e la conducibilità calorica nell’ordine di tempo risulta molto bassa.
Il riscaldamento per irraggiamento, che in queste stufe raggiunge circa l’80%, assicura una piacevole sensazione di calore, grazie alla temperatura dell’aria meno elevata rispetto al riscaldamento per convezione, aumentando nel contempo le temperature delle pareti circostanti. Anche l’umidità relativa dell’atmosfera dei locali si mantiene su livelli di benessere (40-50 %).
La resa di una stufa in muratura può variare tra gli 800 e i 1000 W per metro quadrato di superficie riscaldante; queste differenze si ottengono variando gli spessori delle pareti dei condotti e del bruciatore. Si distingue così una costruzione “pesante” (13/15 cm di spessore), media (10/11 cm) e leggera (7/8 cm). Il consumo giornaliero di legna va dai 10 ai 15 kg per una volumetria riscaldata di 150/200 m3, considerando una zona climatica media.
Oltre ai vantaggi per la salute la stufa in muratura rappresenta uno dei sistemi di riscaldamento che più rispettano l’ambiente e si integra con esso; tutto ciò per diversi motivi:
-Il basso consumo di legna permette un equilibrato utilizzo della biomassa boschiva.
-Praticamente non si contribuisce all’inquinamento dell’aria: questo genere di combustione immette nell’aria soprattutto CO 2 (la stessa che la pianta ha accumulato durante la sua crescita e che rilascerebbe comunque con il processo di decomposizione naturale nel bosco), e meno di 0,2 % di azoto ossigenato e alogeno-idrocarburi.
-L’unico materiale residuo è costituito dalla cenere di legna che viene reintegrata nel terreno (rendendolo più basico) e anche nell’orto apportando soprattutto potassio.
-Se si possiede un piccolo appezzamento di bosco o si può comprare la legna in loco si può accorciare notevolmente la filiera dell’approvigionamento dei materiali necessari per il riscaldamento; con una casa termoautonoma, o parzialmente tale, non si utilizzano grosse infrastrutture come gasdotti o sistemi di stoccaggio di gpl.
-Non si utilizzano combustibili fossili ma si utilizza una materia prima vegetale rinnovabile.

 I pregi e l’estetica

La stufa in muratura si può scegliere per diversi motivi: per i vantaggi di natura ecologica, per il risparmio energetico ed economico o per il maggior benessere assicurato dal sistema di riscaldamento per irraggiamento. A differenza di sistemi di riscaldamento convenzionale (termosifoni), con l’irraggiamento, il calore non viene trasportato dall’aria, ma arriva al corpo sotto forma di radiazioni infrarosse, assicurando una piacevole sensazione di calore anche a temperature di 2-3 °C inferiori. Inoltre, evitando grandi spostamenti d’aria, le particelle di polvere non vengono messe in circolazione negli ambienti, con notevole vantaggio per la salute (specialmente per i bambini e per le persone allergiche).
Inoltre, la stufa in terra cruda presenta un notevole pregio anche dal punto di vista estetico, tanto da consentirne l’inserimento nelle varie tipologie d´abitazione. Essendo costruita “sul posto”, la stufa può essere realizzata nella forma che si desidera, senza creare un’impressione di “fuori luogo”. Il rivestimento, in questo tipo di stufe, svolge una funzione essenziale. Infatti sia le forme che l’intonaco e le rifiniture possono essere accordati ai gusti più diversi: muratura a vista, intonaco murale premiscelato, intonaco in terra cruda o rivestimento in maiolica o pietra lavica.
Il combustibile migliore per questo tipo di stufa è la legna da ardere non trattata, stagionata all’aria (coperta) per 2 anni, di lunghezza adeguata alla misura della camera di combustione e di diametro inferiore ai 10 cm (i tronchetti tondi vanno spaccati). Possono essere utilizzati anche tronchetti pressati di solo legno (senza colle, resine ecc.), ma in questo caso bisogna fare particolare attenzione a non caricare troppo la stufa, perché questi ultimi “crescono” in combustione.
Da evitare sono invece rifiuti domestici, plastica, olio, legno incollato, trattato, compensato e truciolato! Questi materiali, oltre a rischiare di danneggiare la stufa, inquinano l’ambiente e sono un pericolo per gli abitanti della casa!

Il costo
Il prezzo varia a seconda della grandezza della stufa, dell’ambiente da riscaldare e del tipo di rifiniture richieste, si va da un prezzo base di circa 2500 euro (per una stufa di medie dimensioni) fino a 9000 euro per una stufa super accessoriata, realizzata su più piani, con uno scambiatore per il riscaldamento dell’acqua sanitaria, rivestita parzialmente con ceramica ecc. In genere, gli artigiani più competenti seguono l’intero: dal sopraluogo, alla progettazione tecnica e architettonica, fino alla realizzazione della stufa e al rodaggio. In qualche caso, alcuni artigiani forniscono un progetto ben dettagliato per l’autocostruzione. Per la costruzione vera e propria, occorre circa una settimana (per una stufa di medie dimensioni), più qualche giorno per la rifinitura, quasi sempre necessaria dopo il “rodaggio”.

Consigli per l’uso
L´accensione della stufa deve essere effettuata possibilmente senza carta, utilizzando una tavoletta accendifuoco (possibilmente ecologica) o solamente legna spaccata fine a cui successivamente si aggiunge legna più grossa (non oltre 9-11 cm di diametro) ben asciutta e stagionata.
L’afflusso d’aria necessaria per la combustione deve essere mantenuto tramite l’apertura totale dello sportello di carico durante la combustione. E una volta che la legna è completamente trasformata in brace, tale afflusso viene interrotto chiudendo lo sportello. Il calore così accumulato permette alla stufa di mantenersi calda anche per 24 ore. Una combustione così completa produce quantità di residui (ceneri) molto scarsi, che vengono asportati mediamente 1-2 volte al mese avendo l’accortezza di mantenere sulle lastre della camera di combustione uno strato di circa 2 cm di cenere per favorire il mantenimento delle braci.
Il rendimento nella fase di accensione raggiunge valori del 60% arrivando a oltre il 90% a combustione a “regime”. Il perché di tale rese si può ricercare nelle elevate temperature di combustione che producono fenomeni di distillazione dei fumi tali da produrre gas che, dopo i primi 20 minuti dall’accensione, bruciano comportandosi come combustibili gassosi. In sostanza è come se avvenisse una seconda combustione ad elevata temperatura, tale da ridurre le emissioni inquinanti e aumentare il grado d’efficienza della stufa.
La prima accensione della stufa va fatta con la minima carica di legna e ripetuta per almeno due volte al giorno per circa 8 – 10 giorni. Dopo questo periodo di rodaggio si può aumentare la quantità di legna, fino ad arrivare alla massima carica. Per ottenere una combustione completa è consigliabile eseguire l’accatastamento della legna con cura, assicurandosi di lasciare il passaggio dell’aria.
Durante la combustione, lo sportello (o la presa d’aria con uno sportello di vetro) deve rimanere completamente aperto. Al termine della combustione (quando, dopo 1-2 ore, rimane solo la brace,) viene chiuso ermeticamente lo sportello o la presa d’aria, in modo da mantenere tutto il calore accumulato nella massa della stufa.
Manutenzione
Una volta al mese, la stufa va ripulita dalla cenere, lasciando uno strato di circa 1-2 cm per agevolare la prossima accensione e mantenere la brace più a lungo. Poi ogni 2–5 anni, secondo l’uso, vanno puliti con un “aspiratutto” e una spazzola in ferro i tiraggi e le canne fumarie con un diametro di 10 – 15 cm. Dopodiché vanno risigillate le bocchette con un po’ di argilla.
La superficie della stufa dopo alcuni anni può essere ripassata con una terra colorata a pennello (intonaco fine d’argilla) o nel caso possono essere reimbiancati (è necessario effettuare i lavori sulla stufa calda). Se l’intonaco della stufa si dovesse crepare, a causa di un surriscaldamento o altro, queste crepe possono essere chiuse con un impasto d’argilla (intonaco fine) sulla stufa calda.

Fonte: http://coopdulcamara.it/cms/index.php?option=com_content&task=view&id=90&Itemid=86

 

Caldaia a condensazione

Descrizione delle caldaie a condensazione
L’utilizzo di caldaie a condensazione garantisce il miglior risparmio energetico attualmente realizzabile (nel caso di fonte convenzionale: gas metano o GPL).
Le caldaie a condensazione di solito si avvalgono di bruciatori speciali a microfiamma che danno una maggiore efficienza e minori emissioni inquinanti.
Per favorire una combustione pressoché perfetta, le quantità di gas e di aria sono immesse sempre in maniera proporziale tramite una ventilatore e una valvola particolare.
Un’ottimizzazione del rendimento delle caldaie a condensazione viene dall’utilizzo di una sonda di temperatura esterna che rilevando le condizioni esterne, diminuisce od aumenta proporzionalmente la temperatura di mandata. Questo comporta anche minori dispersioni e minori moti convettivi (che trasportano aria calda verso il soffitto).

Una caldaia a condensazione.

Spesso delle caldaie a condensazione si sente parlare con un timore, pensando al costo più elevato rispetto alle normali caldaie, ma senza pensare ai vantaggi della condensazione. Non solo minor inquinamento ma soprattutto un risparmio energetico notevole, che può arrivare anche al 30% annuo.

Ma come funzionano le caldaie a condensazione? Ciò che una caldaia a condensazione fa in più rispetto ad una normale, é recuperare il calore dei fumi di combustione. Il raffreddamento di questi fumi, che genera condensa, origina il nome per questo genere di caldaia. Nella caldaia a condensazione, i prodotti della combustione, prima di essere espulsi all’esterno, sono costretti ad attraversare uno speciale scambiatore all’interno del quale il vapore acqueo condensa, cedendo parte del calore latente di condensazione all’acqua del circuito.
La caldaia a condensazione, a parità di energia fornita, consuma meno combustibile rispetto ad una di tipo tradizionale.
Di solito i fumi di una caldaia tradizionale vengono espulsi a temperature intorno ai 110°C. La temperatura dei fumi espulsi da una caldaia a condensazione, invece, parte da circa 40° e non supera i 55°C: è evidente come il recupero di calore utile sia notevole. E’ questo calore recuperato che diminuisce il fabbisogno di combustibile che la caldaia deve spendere per riscaldare l’acqua dell’impianto.
Da qui si capisce come mai, con le formule normali per il calcolo del rendimento delle caldaie, i rendimenti di quelle a condensazione risultano superiori al 100% (può stupire il rendimento citato superiore al 100%).
È stato stimato che l’investimento relativo all’installazione di una caldaia a condensazione possa essere recuperato nel giro di 7 anni. Calcolando la detrazione fiscale del 55% il rientro dell’investimento si ha in soli 3 anni (fatta salva la necessità di lavori addizionali per l’adeguamento di un impianto preesistente). E’ quindi evidente come il passare dal riscaldamento tradizionale a quello a condensazione sia estremamente vantaggioso.
Le caldaie a condensazione sono attualmente quelle con la tecnologia più avanzata.
Per ottimizzare il rendimento di un impianto basato su caldaia a condensazione, occorre prevedere ampie ed efficienti superfici radianti, in modo da poter mantenere bassa la temperatura dell’acqua (fluido termovettore). Le temperature ideali di progetto per l’impianto, mandata e ritorno, sono pari a 40/30°C. Nel caso invece di un impianto ad alte temperature con termosifoni tradizionali, la temperatura di progetto sarà più elevata, orientativamente pari a 75/60°C. In queste condizioni i fumi non potrebbero cedere calore al fluido stesso. È per questo motivo che il maggiore vantaggio in termini di risparmio è riscontrabile sugli impianti a pannelli radianti, dove le temperature di lavoro dell’impianto sono basse, mediamente comprese tra i 40/30°C.

Un caldaia a condensazione, in genere, è un concentrato di alta tecnologia: oltre allo scambiatore costruito con materiali speciali in grado di resistere all’aggressione chimica della condensa, con sezioni ottimizzate e superfici di scambio molto estese per recuperare la maggiore quantità di calore, esistono anche altri accorgimenti tecnologici che concorrono a migliorarne l’efficacia. Tra i più utili il controllo elettronico della combustione e l’impiego di un bruciatore tecnologicamente avanzato (costruito con particolari materiali, premiscelato, modulabile e con una accurata progettazione delle geometrie costruttive della camera di combustione). Questi dispositivi ottimizzando la combustione, consentono di abbattere il livello degli inquinanti emessi.
I condensati prodotti dalla combustione, vengono prevalentemente scaricati in fogna. La norme vigenti prevedono il rispetto della legge in materia di scarichi (legato al loro grado di acidità e alla neutralizzazione mediante miscelazione con gli scarichi domestici o con un neutralizzatore sull’impianto).
I condensati prodotti da un apparecchio a condensazione hanno un forte grado di acidità. Scelta obbligata quindi, per progettisti e installatori, l’impiego di materiali in grado di resistere alla corrosione dei condensati.(materiali plastici come PVC, HPE e ABS, in grado di resistere alla corrosione per tutta la vita dell’impianto).

La sostituzione della vecchia caldaia con una a condensazione

Vediamo ora le differenze tra impianto nuovo e impianto esistente, dove si voglia sostituire la vecchia caldaia con una a condensazione.
Per gli impianti realizzati nelle nuove costruzioni, specie se già progettati per installare generatori a condensazione, si otterranno risultati ottimali. Questi impianti, avranno dei costi supplementari rispetto ai tradizionali, che però verranno ammortizzati durante l’utilizzo.

Negli impianti esistenti, è necessario valutare la fattibilità dell’operazione. Dovranno inoltre essere adottati alcuni accorgimenti per garantire il migliore rendimento dell’impianto e assicurare il risparmio all’utilizzatore.
I sistemi fumari asserviti agli apparecchi a condensazione e affini sono sistemi ad umido. Pertanto devono possedere caratteristiche idonee.
I condotti fumari possono operare in pressione o in depressione. Nella maggior parte dei casi, i condotti fumari delle caldaie a condensazione funzionano in pressione e ad umido.
Per adeguare l’impianto, si dovrà verificare, la compatibilità del camino a ricevere i condensati dei prodotti della combustione. Spesso i camini/canne fumarie esistenti non sono compatibili per il funzionamento ad umido. L’intubamento del sistema, nella maggior parte dei casi, può essere la soluzione più sicura e meno dispendiosa per l’adeguamento.

Quando la sostituzione avviene in unità abitativa indipendente, come una villetta, non vi saranno particolari difficoltà nell’intubamento dello scarico dei fumi. Cosa che non avviene quando si deve sostituire il generatore nell’appartamento di un edificio multipiano. Le soluzioni esistono, ma potrebbero richiedere un maggiore impegno tecnico ed economico. Spesso negli edifici multipiano con vecchi impianti, sono installate caldaie a camera aperta collegate a canne collettive ramificate. Occorrerà valutare attentamente quale soluzione adottare: per esempio, la realizzazione di una nuova canna fumaria esterna all’edificio, oppure lo scarico a parete (quando consentito).

In un impianto esistente, si dovrà predisporre il sistema di scarico delle condense e verificare la compatibilità dei materiali degli scarichi domestici per ricevere i condensati. Se il materiale con cui sono stati realizzati non risultasse idoneo, si potrà sopperire installando un neutralizzatore di condense prima dell’ingresso nel sistema di scarico domestico. Attenzione anche ai condotti fognari, che generalmente sono comunque adeguati a ricevere i condensati.

Si dovrà prevedere anche a un controllo della temperatura ambiente più evoluto rispetto al tradizionale termostato ambiente on/off. Si dovranno installare una sonda esterna e un cronotermostato ambiente, programmabile su due livelli di temperatura e sulle diverse esigenze giornaliere/settimanali. Questi dispositivi consentono di ottimizzare l’efficienza dell’impianto.

La pulizia dell’impianto da incrostazioni, depositi calcarei o fanghi che si possono formare in anni di funzionamento, è indispensabile per mantenere invariate le prestazioni della caldaia.
Installare un generatore a condensazione in un impianto esistente, implica dei costi per il suo adeguamento. Ma con una corretta analisi delle operazioni di adeguamento, piccoli accorgimenti e una corretta taratura, si avranno comunque dei benefici molto prossimi a quello di un impianto nato per la condensazione e comunque maggiori rispetto a un impianto tradizionale.

Fonte: http://www.risanamentoenergetico.com/caldaia_condensazione.htm