Celebriamo il risveglio. Uno dopo l’altro i sogni spezzati sono diventati incubi. I sogni dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, della crescita economica, dello sviluppo e del progresso. I sogni della American way of life e del capitalismo o del socialismo. Al risveglio l’orrore continuava ad essere lì. Ciascuna delle calamità naturali che ci colpiscono e che sono in aumento reca l’impronta di qualche irresponsabilità. Meno di cento persone possiedono più ricchezze materiali di tutti gli altri abitanti del mondo messi insieme. E continuano ad accumulare.
Il risveglio parte dal riconoscimento lucido, senza catastrofismi né riduzione a spettacolo, del fatto che le istituzioni dominanti sono in crisi.
* I sistemi educativi espellono più gente di quanta ne assorbano, generano spirito gregario, dipendenza e discriminazione e sminuiscono o dequalificano la produzione autonoma del sapere. Non preparano né per il lavoro né per la vita. I giovani “educati” dal sistema non troveranno certo l’impiego che sognavano: 7 su 10 non potranno mai lavorare nel settore per cui hanno studiato. E la scuola, sradicandoli e assorbendo il loro tempo e la loro attenzione, impedisce che imparino i saperi e le abilità che darebbero loro capacità di esistenza autonoma.
* I sistemi sanitari fanno ammalare e discriminano, castigano la libertà autonoma di guarire e incrementano assuefazioni e dipendenze che non possono soddisfare.
* I sistemi di comunicazione isolano, separano, manipolano e puntellano meccanismi di controllo castranti.
* I sistemi politici sono la negazione della democrazia, avvolgono di illusioni la struttura di dominazione e stimolano libertà che rendono schiavi, che generano prigionieri della dipendenza o dell’invidia, e nello stesso tempo legano mani, piedi e lingue e tappano narici, orecchi e occhi, per negare la violenza e il caos che in questo modo propiziano e per impedire iniziative.
Il risveglio ci permette anche di contare le nostre benedizioni. Ci sono ancora nelle città iniziative che ordiscono un tessuto di reciproco aiuto. Intere comunità vivono radicate nelle proprie tradizioni millenarie, nelle quali l’acqua è ancora considerata sacra e tutti hanno libero accesso ad essa secondo le regole proprie di un ambito comunitario. Da essi traggono ispirazione coloro che sono fuggiti verso il futuro, con la modernità. Per rimpiazzare gli spazi pubblici di oggi, impersonali e astratti, creano ambiti comunitari che raccolgono ed esprimono lo spirito del luogo. In queste sacche di resistenza le persone prendono nuovamente nelle proprie mani le decisioni che influenzano la loro vita e percorrono di nuovo le proprie strade.
Sappiamo che queste e molte altre benedizioni potrebbero scomparire. Ma è motivo di celebrazione constatare che l’impegno per salvarle sta crescendo fra i non sottomessi, i ribelli, gli scontenti o fra i cosiddetti poveri, che sono la maggioranza. Sanno che la guerra incessante scatenata contro di loro può privarli di sussistenza autonoma e condannarli alla miseria dipendente. Sanno anche che l’ondata devastatrice dell’avido sistema annienterà ogni impegno isolato. Per questo, organizzati per resistere, oggi trasformano la loro resistenza in lotte di liberazione. Fermi nella dignità dei propri ambiti, costruiscono catene di fiducia e solidarietà e coalizioni coi molteplici “noi” delle varie sacche di resistenza. Si costituiscono così reti di protezione che riflettono l’ampliarsi della dignità di ciascuno e delle sue relazioni con gli altri e con la natura e si trasformano passo a passo nel sostegno del mondo che stanno così re-inventando.
Le crisi hanno effetti drammatici sulla vita quotidiana, però rappresentano anche l’alba di una liberazione rivoluzionaria, che favorisce l’emancipazione dalle istanze che mutilano le libertà. Rivelano la natura e le debolezze del sistema dominante. Il capitale, ad esempio, ha più appetito che mai, ma non lo stomaco per digerire tutti quelli che vuole controllare.
L’equità e la libertà sono del tutto illusorie se la società si organizza intorno alle automobili e alle scuole e mantiene al centro della vita sociale lo sviluppo della sfera economica. Per sottrarsi alle crisi periodiche, frutto della voracità e dell’incompetenza, e ai danni causati dalla crescita economica, è giunta l’ora di proporsi la riduzione calcolata dell’economia ufficiale, ridimensionando la sfera che cresce come un cancro e favorendo l’espansione della sussistenza autonoma. Nel porre di nuovo la politica e l’etica al centro della vita sociale, subordinando ad esse l’attività economica, si sostituisce l’ossessione per la crescita economica con la visione di una società conviviale che garantisce a ciascuno libero accesso agli strumenti comunitari, il cui utilizzo vede come unica restrizione il non danneggiare la libertà di accesso degli altri.
Celebriamo la maturità tecnologica alla quale siamo arrivati. Sulla base dei mezzi tecnici attualmente disponibili tutti gli abitanti del mondo possono crearsi una vita buona, nei termini in cui in ogni luogo e in ogni cultura si definisce la buona vita. Ogni persona potrebbe avere accesso in misura sufficiente al cibo, al vestiario e all’ abitazione, se quei mezzi, alla portata di tutti e tutte, vengono impiegati in forma economicamente fattibile, socialmente giusta ed ecologicamente sensata, al di là delle ideologie fallimentari che hanno dominato il secolo XXesimo e del sistema la cui agonia semina ancora instabilità e caos.
L’ espansione della dignità è una sfida radicale ai sistemi esistenti, poiché l’autonomia creatrice scalza alla radice le strutture su cui è basata la dominazione. Le reazioni tendono ad essere violente e distruttrici e la trasformazione stessa impone sacrifici e sforzi. Sappiamo, inoltre, che rinunciare a miraggi e illusioni che offrono sicurezza e comodità e resistere alla pressione castrante del sistema non è facile. Però le difficoltà che intravediamo non ci fanno arretrare. Svegliarsi vuol dire anche recuperare la condizione umana e l’arte di soffrire, godere e morire di cui facciamo tesoro, trasformando il nostro scontento in affermazione dell’arte di vivere con dignità.
Le crisi attuali sono tutte crisi di grandi dimensioni, perché le attività economiche e politiche hanno oltrepassato la scala umana. Sono prodotto dell’arroganza e attirano il loro stesso castigo. Con la piena coscienza dei limiti naturali e sociali, al fine di combattere contro la scala oceanica delle grandi potenze nazionali e dei mercati comuni, si può costruire una rete di argini vernacolari fra loro interconnessi, entro i quali operino forme di scambio locale molto autosufficienti. In essi non potranno aver luogo le ondate devastatrici che caratterizzano gli avvenimenti odierni.
Questi argini cominciano a riflettere la misura in cui si recupera il senso della proporzione, il senso che si ha della comunità, il che rende possibile l’autonomia creatrice e la libertà e può dare alla democrazia un senso di realtà. La democrazia non può stare se non nel luogo in cui la gente sta.
La vivono e la esprimono uomini e donne comuni che definiscono liberamente, nelle loro assemblee autonome, i problemi che li riguardano.
Nominare l’ intollerabile, in un mondo che comincia a mostrarsi disperato, è già in sé la speranza. Se consideriamo qualcosa intollerabile, si deve fare qualcosa. Per questo la speranza è l’essenza dei movimenti popolari. Nel riscoprirla come forza sociale si dischiude la possibilità del cambiamento.
La speranza non deve essere vista come la convinzione che accadrà ciò che concepiamo, alla maniera delle predizioni convenzionali che generano attese illusorie. È la convinzione che qualcosa ha senso, indipendentemente da ciò che accadrà. Per questo la pura speranza risiede come prima cosa, in forma misteriosa, nella capacità di nominare l’intollerabile, una capacità che viene da lontano e rende inevitabili la politica e il coraggio che proteggono le nostre benedizioni, le coltivano e le fanno fiorire. Invece di restare in attesa o riporre la speranza in miraggi, siamo in movimento, sganciandoci a poco a poco da ciascuno dei sistemi che ci rendono schiavi e ci sminuiscono per costruire in libertà un mondo nuovo, in cui siano contenuti i molti mondi che noi siamo.
Non accettiamo di venire ridotti ad atomi di categorie astratte, pure particelle omogeneizzate che ballano al ritmo dei sistemi nei quali si vuole integrare quegli individui ossessionati dal possesso in cui il capitale cerca di trasformare tutti e tutte. Nelle nostre sacche di resistenza ci consolidiamo nell’amicizia, come malta che forma nuovi ambiti comunitari. In essi è possibile prendere le distanze dagli strumenti materiali e sociali che rendono schiavi, per organizzare in allegria la società che immaginiamo, al di là di ogni ingegneria sociale e di ogni impegno pianificatore capitalista o socialista.
È giunta l’ora di celebrare la capacità di dare alla nostra realtà di oggi la forma del domani, ben ancorata in un passato che continua ad essere fonte di ispirazione.
Sottoscritto il 5 dicembre 2007 dai partecipanti all’incontro “La convivialità nell’era dei sistemi”, organizzato in omaggio a Ivan Illich nel quinto anniversario della morte. È un manifesto aperto ad altri ed altre che condividano queste idee, comportamenti e speranze e la decisione di promuovere i cambiamenti e le proposte in esso auspicate.